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Intervista a Giovanni Floris su Monòpoli e Ballarò

Pocket – Novembre 2005

Monòpoli o monopòli?

“Entrambi. Ci sono dentro i monopòli dell’economia e il monòpoli della politica. Ad ogni casella corrisponde una strada. Si parte da via xx settembre, indirizzo del ministero del tesoro, emblema delle privatizzazioni sempre annunciate e mai realizzate. Si transita per viale Mazzini  simbolo del duopolio RAI Mediaset che blocca il settore della comunicazioni. C’è un capitolo dedicato a piazza affari e agli immobiliaristi d’assalto. Ma si parla anche di energia, di trasporti, di caste professionali, di calcio, di università. Per chiudere con via nazionale, dove si trova palazzo koch, la sede di Bankitalia”.

Il quadro che emerge dal libro è quello di un paese ingessato, incapace di compiere un autentico salto liberale.

“E’ così. Il sistema è bloccato, converrebbe aprirlo, ma nessuno può, o vuole farlo. Nel 2001 berlusconi si presentava come erede della Tatcher, ma in quattro anni di governo ha fatto poco o nulla per aprire al pluralismo e garantire la libera concorrenza: e non parlo solo di informazione. Anzi, il potere dello stato è divenuto ancor più invasivo. Con tanti saluti alla liberalizzazione”.

Non che il governo di centrosinistra abbia brillato in questo settore.
“Qualcosa è stata fatta, penso ad alcuni provvedimenti scritti da letta e bersani nei comparti del commercio e dell’energia, o al lavoro dell’allora ministro Ciampi sulle privatizzazioni”.

Però, sostanzialmente, è stata la conservazione a guidare l’azione dei governi fino ad oggi.
“Molto spesso la politica ha interesse a mantenere le cose come stanno. Per mantenere il consenso degli iscritti agli ordini professionali, ad esempio. O per mantenere il potere sulle alcune grandi aziende. L’unico modo per cambiare qualcosa sarebbe una spinta che arriva dal basso, molto forte, decisa a sbloccare questo sistema di privilegi e porte chiuse. Dovrebbe partire dalla gente comune,quella che sente il peso dei monopoli. E’ un peso che si avverte, basta frequentare meno salotti e più supermercati”.

E’ stata questa gente comune a darti lo spunto per scrivere questo libro?
“Sì, sono le storie di tutti i giorni, quelle che non finiscono sui giornali perché non rappresentano la notizia, ma la semplice quotidianità. Non fa notizia dire che che abbiamo le tariffe più alte d’europa, le più alte spese di commissione su conti correnti, che per andare a Fiumicino in taxi spendo 70 euro mentre a New york, per arrivare dalla fifth avenue al jfk, ne spendo meno della metà… e poi c’è la questione del duopolio televisivo che fa del nostro paese un unicum.”

La Gasparri non apre al pluralismo?
“ Tutt’altro, è una sorta di “dono” a Mediaset e Rai”.

In effetti l’introduzione del sic non sembra ostacolarle…
“Va nella direzione opposta. Anziché sbriciolare il duopolio lo estende: ora le due aziende hanno la possibilità di proporsi anche in altri settori”.

Ciò non toglie che nuovi soggetti possano affacciarsi sul mercato televisivo.
“Ma il mercato è nelle mani di rai e mediaset, ci sono barriere sostanziali all’ingresso di nuovi competitor”.

Il digitale terrestre moltiplica l’offerta dei canali.
“Appare evidente che ad oggi il digitale terrestre non ha infranto il duopolio. Anzi, ha reso più ricca Mediaset”.

La legge va anche valutata in prospettiva.
“Vorrà dire che tra dieci anni staremo qui a tirare le somme. Ma speriamo che qualcuno la riveda prima!”.

Quanto pesa sul voto il controllo dei mezzi di informazione? Non pensi che la sua incidenza sia sopravvalutata?
“Non credo che la tv sia in grado di pilotare l’opinione pubblica, nell’immediato. Però, alla lunga, magari con la continua proposta di un unico modello di vita, allora c’è da preoccuparsi. Comunque dal 2001 ad oggi la cdl ha perso tutte le elezioni, evidentemente la gente continua a fare di testa sua”.

In vista delle elezioni il governo potrebbe rivedere la normativa sulla par condicio.
“La par condicio è una legge che tenta di mettere la toppa ad un buco, ossia lo strapotere mediatico di una persona. Non so se verrà modificata, potrebbe essere percepito come un gesto di arroganza politica e risultare controproducente. Ma, ribadisco, il problema non è la par condicio, ma l’anomalia del sistema italiano”.

Come giudichi l’anomalia di tanti giornalisti del servizio pubblico eletti nelle file del centrosinistra?
“Non è un’anomalia, candidarsi è una scelta consapevole, da rispettare. Ogni cittadino la può fare, anche un giornalista”.

E’ credibile, imparziale, un giornalista che diventa parlamentare e poi ritorna a fare il giornalista?
“Dipende in che ruolo torna. Ferrara lo ha fatto, e mi sembra un ottimo giornalista.”

Se ti offrissero una candidatura?
“Sono contento del mio lavoro e mi godo la mia trasmissione”.

Cosa ti piace dell’odierna tv di informazione?
“Report e Blunotte. Vedo con piacere anche Matrix”.

Sarai tu il moderatore del dibattito pre-elettorale tra Berlusconi e prodi?
“Mi piacerebbe, ma non è fondamentale. L’importante è che questo confronto si tenga veramente, sarebbe imbarazzante se non ci fosse”.

Quale è la prima domanda che faresti a berlusconi?
“Gli chiederei contro della politica economica del governo, se ribadirebbe di ispirasi alla Tatcher”.

E a prodi?
“Mi piacerebbe conoscere la posizione dell’unione rispetto al finanziamento delle missioni internazionali dei nostri soldati”.

Guardando Ballarò ho l’impressione è che le tue domande siano dure verso gli ospiti di centrodestra e morbide verso gli esponenti di centrosinistra.
“Chi ha il potere (sia di destra o di sinistra) è tenuto a rispondere alle domande scomode, quale che sia la collocazione politica. Il sindaco di napoli, ad esempio, ci ha accusato di essere faziosi perché  le abbiamo rivolto domande dure, molto dure, sulla gestione delle periferie. La Jervolino non mi risulta sia di destra. Gestisce il potere, pero’. E quindi a Ballarò deve risponderne.”.

Il taglio dei servizi, gli interventi satirici all’inizio, sembrano sempre unidirezionali, critici verso berlusconi e i suoi alleati.
“I servizi descrivono delle realtà, e noi diamo sempre la possibilità a chiunque di discuterli. La satira è satira, è naturale che sia critica verso chi governa in quel momento”.

Anche il pubblico in studio sembra uscito da una sezione dei DS.
“L’acceso allo studio e’ trasparente, partecipano scuole, associazioni, il pubblico non è “pesato” politicamente: ci sono applausi per tutti. E’ a lamentarsi di non riceverne che sono sempre gli stessi… credo si siano abituati male!”.