Giovanni Floris: Resoconto della stagione di “Ballarò”
Il Venerdì di Repubblica – 16 giugno 2007, di Emilio Marrese
Anche Giovanni Floris, come ogni conduttore di talk show politico che si rispetti, ha i suoi scontri di piazza alle spalle. Ebbene sì, con quella faccia da bravo ragazzo. Infatti l’hanno menato: non i fascisti né i comunisti né i poliziotti. I laziali.
«Ma forse erano romanisti, non lo so. Avevamo 16 anni e fuori dallo stadio volevano solo rubare le giacche alle nostre ragazze. Io feci l’eroe e mi riempirono di botte, proprio pestato a sangue. Mi aggrappai ad un celerino e non lo mollavo più».
Martedì prossimo chiude la quinta stagione di Ballarò, Chi è in testa alla classifica delle presenze in studio?
«Credo Bersani. Chiedo all’ufficio stampa [telefona: la risposta è Casini 7, Brambilla 6, Tremoliti, Maroni, Bersani, Di Pietro e Giordano 5]».
Ecco: chiuderà questa edizione avendo sulla coscienza la Brambilla, la nuova icona berlusconiana.
«È brava e parla bene. Poi il primo che l’ha invitata penso sia stato Vespa e io l’ho notata su un settimanale».
Quindi Berlusconi l’ha scoperta da lei e non viceversa.
«Ma non abbiamo valorizzato solo lei: anche le varie Polverini, Bandinelli, Todini, Guidi, Polidori… E poi Soru, Domenici, Galdieri…».
Dove li andate a pescare?
«La nostra redazione gira per convegni e congressi. La linea di Ballarò è dimostrare che la politica non è un circolo chiuso, ma coinvolge la società civile, il mondo della produzione, del lavoro e dell’università. Senza cadere nell’antipolitica, perché a noi la politica piace tanto».
I gusti sono gusti.
«Se quest’anno abbiamo fatto lo stesso share dell’anno scorso, cioè il 13,7 per cento con 3,5 milioni di media, nonostante non ci fossero elezioni, significa che non è vero che la gente è nauseata. Dipende da come la fai, la politica: quella che parla di se stessa, annoia».
Qual è l’ospite che la mette più in difficoltà?
«Quello che parte per la tangente. Niente nomi».
Quello che non è ancora riuscito ad ospitare?
«Prodi».
Ne soffre molto?
«Gli ascolti no, ma a me dispiace. Lo chiamiamo a ogni puntata. Ma lui i confronti li fa solo sotto elezioni, e da noi il faccia a faccia è d’obbligo».
Bravissimo giornalista ma non bravissima persona, disse Berlusconi.
«Frase da campagna elettorale. Non ci rimasi bene. Ma non ci credeva neanche lui».
Chi insiste di più per farsi invitare?
«Tantissimi. È una risorsa della trasmissione, fortunatamente molto stimata. E abbiamo fatto alti ascolti anche con chi non era mai stato prima in tv, segno che l’audience non è legata alla notorietà dei volti».
Spingono anche i big?
«Spingono tutti. Sanno che da noi hanno modo di spiegarsi. Chiunque vorrebbe giocare a San Siro, anche se sa di essere marcato da Materazzi».
Se voi siete San Siro, Vespa è l’Olimpico?
«Vabbè, facciamo che Ballarò è il Flaminio».
Nessuno gliel’ha giurata al punto di non mettere più piede in studio?
«Se l’ha fatto, non me ne sono accorto».
Ma come fanno a dire che lei è fazioso, se non parla male di nessuno neanche sotto tortura?
«La mia faziosità è un luogo comune. Tant’è che mi hanno accusato da destra e da sinistra: quando le cose vanno male, l’arbitro è cornuto a prescindere. Ho le mie idee, ma le tengo fuori, Non parlo né male né bene: sono orgoglioso di non commentare il lavoro dei colleghi e di avere distacco dai politici».
Ci manca solo che dica che la Rai scoppia di salute.
«No, ma non utilizzerò mai un giornale per fare una polemica strumentale».
Faccia uno sforzo, su.
«Vabbè: mi chiedo come faccia un’azienda oligopolista ad avere tutti questi problemi. Il legame asfissiante col potere politico non è più tollerabile nel 2007, ed è destinato a farsi travolgere dalle regole del gioco. Ma è una carenza strutturale che persisterà finché sarà la politica a fare le nomine. Non esiste un’azienda con tali potenzialità, anche economiche, che rimanga così imballata per questa empasse tra direttore generale e consiglio d’amministrazione».
Chissà le pressioni interne.
«Pensavo peggio. Posso affermare che faccio una prima serata di politica in Rai e sono autonomo, ma so anche perché: perché c’è il direttore RufRni, che fa da grande ombrello. Io poi non sono entrato con una tessera e non ho debiti da saldare».
Non s’è stufato un po’ di Ballarò dopo cinque anni?
«No, mi piace sempre di più perché imparo strada facendo. Quando iniziai non ero nemmeno mai stato in televisione e gli ospiti non mi riconoscevamo autorevolezza. Stiamo studiando qualche novità per l’anno prossimo».
Tipo?
«Cambieremo un po’ lo studio e il format. Vorremmo essere più flessibili e sfruttare i nostri bravi cronisti per portare notizie, anche di nera».
Oddio, Rìgnano e Cogne pure da voi?
«Sì, ma senza farci il dibattito inutile e morboso. Tengo a sottolineare che non ho fatto neanche una puntata su Vallettopoli. Però uno scoop come quello di Matrix su via Poma mi piacerebbe. Poi ci sarà più pubblico in studio».
Aumenta la claque?
«È un altro luogo comune. Non è vero che il pubblico applauda solo il suo politico».
Però quella tappezzeria umana che annuisce dietro ogni ospite…
«Qualcuno ogni tanto esagera. Una volta un ministro leghista aveva dietro una signora infervoratissima che applaudiva ad ogni sospiro. Era la moglie».
L’ultimo film che ha visto?
«Al cinema Zodiac, un thriller inutile. In tv Una giornata particolare e Febbre da cavallo, tutti stanotte perché dopo la puntata non dormo».
Ultimo cd e ultimo libro?
«Una raccolta dei Rem. Poi La vedova scalza di Niffoi e le Lettere morali a Lucilio di Seneca. Va bene?».
Meglio, grazie. Avendola sentita elogiare i reality”, cantare gli 883 in radio e annoverare i Vanzina e Notte prima degli esami tra i suoi cult, c’era preoccupazione.
«Non posso nascondere che mi piacciano i Vanzina: ci va tutta Italia a vederli, perché io no? Il bello è leggere e vedere di tutto».
Quale programma le piacerebbe condurre?
«In tv io guardo i Simpson, Chi l’ha visto, la Bignardi, Mi manda Raltre, Lucarelli e Ombre sul giallo della Leosini. Ma il mio sogno è quello di scrivere sulla carta stampata».
E non ha mai avuto proposte interessanti?
«Non interessanti: proprio nessuna. A parte la collaborazione con la Gazzetta dello Sport e il Romanista».
Si consola coi libri: uno all’anno, media Vespa.
«Non è proprio la stessa cosa, io non faccio nomi né dietro le quinte. Il prossimo a Natale parlerà di meritocrazia. Titolo provvisorio Mal di merito».
Passa un anziano signore e gli dice gentilmente che i suoi ospiti invece che a Porta a porta dovrebbero finire a Prima Porta, (un cimitero romano). Perché gli italiani amano la politica. È ora di andare.