Floris: “Barbaricino de Roma”
L’Unione Sarda – 14 Novembre 2003
Personaggi. Incontro col giornalista che si definisce “sardo nel cuore”: una nuova faccia della Rai
Floris: “Barbaricino de Roma”
Cronista in ascesa: dagli USA alla prima serata con “Ballarò”
L’astro nascente della Rai si chiama Giovanni Floris, “barbaricino de Roma”. Il padre, Bachisio, funzionario di banca, è nato a Nuoro, lui all’ombra del Colosseo, ma si definisce “sardo nel cuore”. L’hanno mandato per due mesi negli Usa e si è coperto di gloria nelle dirette sull’11 settembre.
Giorno e notte in radio e sugli schermi. Così è iniziata l’irresistibile ascesa di questo giovane cronista (35 anni scarsi) condannato da una faccia pulita (e dai critici televisivi) a una fama di “secchione” e “primo della classe”.
Ma lui le promozioni le conquista sul campo, corrispondente da New York per decisione di quattro direttori: Ruffini, Mimun, Longhi e Di Bella. Bel colpo per un reduce dalle cronache economiche del Giornale Radio. E non è finita. Perché da due settimane Floris conduce su RaiTre il talk show “Ballarò”, che ha già provocato un’interrogazione parlamentare della Margherita e un mezzo travaso di bile (in diretta) al leghista Speroni.
Giovanni Floris tiene alle sue radici sarde?
“Io mi considero sardo di cuore. Queste radici mi fanno sentire più forte. Mi danno la sicurezza di poter superare qualsiasi ostacolo”.
Va spesso nell’Isola?
Sì, a Nuoro, ma anche a Olbia e a San Teodoro”.
Da Roma a Nuoro, bel salto di ambiente?
“Non dal punto di vista personale, perché passo da una città in cui sono circondato da affetti a un’altra in cui ho tanti parenti che mi vogliono bene”.
A Roma, frequenta amici sardi?
“Sì, alcuni sono ex compagni di scuola e si chiamano Monni, Floris. Amici da sempre”.
Anche politici?
“Politici non ne frequento in assoluto”.
Qual è, a suo giudizio, il più grave problema della Sardegna?
“Riuscire a esprimere la sua forza. La Sardegna ha risorse di convinzione, forza morale, capacità di ironizzare e relativizzare su tutto che dovrebbe comunicare al resto del Paese.”
Come le venuta la vocazione del giornalista?
“Da bambino. A scuola ho sempre fatto i giornalini. Poi all’università mi sono scoraggiato. “Non ce la farò mai” Dopo la laurea in scienze politiche ho rischiato di finire in banca.
Ho detto no e i miei mi hanno sostenuto”.
Gavetta?
“Collaborazioni con Messaggero, Avanti. Agli uffici stampa del ministro Giugni. Poi il concorso (vinto) nella scuola di giornalismo Rai di Perugia, un po’ di precariato e l’assunzione nel Giornale radio.
Senza raccomandazioni?
“Senza raccomandazioni”.
Qual è la sua idea del giornalismo?
“Il giornalismo deve essere contro ogni potere gli si ponga davanti”.
Qual è il suo giornalista modello?
Non uno in particolare ma le qualità di alcuni: la forza di Lerner, il coraggio di Santoro, l’abilità nello spiazzare di Ferrara, la capacità di raccontare di Vinello, la cultura di Santalmassi, la comunicativa di Costanzo”.
Cosa detesta nei giornalisti?
“Niente, perché sono un giornalista anch’io. Sarebbe come detestare me stesso”.
A quale area politica appartiene?
“Sono solo un cittadino che vota”.
Insisto, un deputato della Margherita ha presentato un’interrogazione per difendere Ballarò.
E’ una sponsorizzazione?
“Spero di no, non essere sponsorizzato da nessuno. La mia è solo una trasmissione giornalistica, faccio le stesse domande (dure) a tutti”.
Però si dice che in Rai assumano sempre uno di destra, uno di sinistra e uno bravo?
“Spero di essere quello bravo. Anche se so che Raitre viene considerata una quota della Margherita.
Ma non ho mai chiesto al direttore di rete Paolo Ruffini come vota e lui ha fatto altrettanto con me”.
Ha una tessera?
“Non ho tessere e alle ultime votazioni non ho votato per i partiti della Margherita”.
Biagi e Santoro, è stata epurazione?
“E’ stato un errore abolire le loro trasmissioni”.
Biagi è un maestro di giornalismo, Santoro un po’ meno. E’ giusto accomunarli?
“Biagi e Santoro vanno giudicati per ciò che hanno fatto singolarmente. Le loro trasmissioni erano molto seguite, io le avrei lasciate.”
Nel frattempo è nato “Ballarò”, il suo talk show, giudicato all’esordio con critiche agrodolci?
“Accetto le critiche, salvo quando il Corriere della sera scrive che ho una faccia da bravo ragazzo. Cercherò di smentire coi fatti.”
E radio corridoio, in Rai, come si è espressa?
“Molti colleghi hanno detto: ”A New York è stato bravo, ma la prima serata è troppo”.
D’altro canto, la colleganza è odio militante?
“Però mi sono arrivati segnali di incoraggiamento, anche dal sindacato Usigrai”.
L’Auditel come va?
“In progressione, prima puntata sei per cento, seconda 7,5. Un salto enorme”.
Però dopo la puntata sugli immigrati rischia di inimicarsi la Lega?
“Alla fine di “Ballarò” spero di dover rispondere di solo a giornalisti e non a politici”.
Ma a Raitre non si sente in una riserva indiana?
“Rai tre è una rete libera in cui mi è stato chiesto di fare giornalismo non politica. Con Ruffini sta diventando un campo di sperimentazione di giornalismo”.
Cosa stava facendo a New York nel momento dell’attentato?
“Il caffè, erano le nove del mattino”.
Ha pensato subito a un atto terroristico?
“Sì, e ho trasmesso subito la notizia al giornale radio”.
Confessi: quando si è reso conto delle dimensioni del fatto, ha pensato “Ho tra le mani lo scoop della vita”?
“Mi sono spaventato. E’ una cosa gigantesca – mi sono detto – saprò reggere?
Sino ad allora, in Usa avevo fatto solo pezzi sugli squali e altra roba del genere. Inoltre, non avevo esperienza di televisione”.
Dall’Italia, sembrava che a New York la Rai avesse solo lei: appariva dappertutto?
“Non è vero c’erano anche Angelici e Borrelli”.
Come ha vissuto quei giorni?
“Dormendo due ore al giorno, in redazione. Perché avevano chiuso Manhattan sud dove avevo la casa. Solo quando mia moglie è riuscita a raggiungermi abbiamo preso una stanza in albergo”.
Perdoni il cinismo, ma l’attentato alle torri gemelle le ha cambiato la vita. E anche la carriera.
“E’ stata un’occasione professionale, ma soprattutto una prova superata che mi ha reso più forte.
Una prova drammatica, dura. Valutarla solo dal punto di vista professionale sarebbe riduttivo. Sono un uomo prima che un giornalista”.
Le ha lasciato qualche cicatrice?
“E’ stata una cosa impressionante, un atto di barbarie inconcepibile. Una città e una nazione crollate nel giro di un quarto d’ora. Quelle scene di sofferenza erano terrificanti”.
Che effetto le ha fatto tornare in Italia e scoprire che una parte dell’opinione pubblica giustificava, in qualche misura, l’attentato?
“E’ una parte minuscola e non ha capito cosa è successo. Si può tentare di comprendere da dove nasce l’odio verso gli Stati Uniti, ma nulla può giustificare il terrorismo”.
Proprio in nome della lotta al terrorismo oggi ci troviamo di fronte ad un altro bivio angoscioso: la guerra.
“Credo che non serva a sconfiggere il terrorismo, come pensa Bush. Potrebbe essere una scelta inefficace, probabilmente inutile”.